INQUADRAMENTO STORICO
Quando Shakespeare(1564-1623) scrive le sue opere siamo in Inghilterra intorno al l600, la regina d’Inghilterra allora era Elisabetta I (1533-1603), una regina leggendaria, perché è riuscita a rendere il suo regno forte, ricco e potente nonostante quando sia salita al trono (1559) la situazione fosse disastrosa.
Elisabetta amava molto il teatro e incoraggiò il formarsi di compagnie stabili. A quell’epoca infatti gli attori si spostavano da una città all’altra, rappresentando i loro spettacoli nelle piazze, in specie di arene costruite all’aperto, che si chiamavano Playhouse*.
Un Editto di Enrico VIII (padre di Elisabetta) del 1531, nato come provvedimento punitivo contro il vagabondaggio, colpiva di fatto le compagnie teatrali, che erano costituite tutte di attori girovaghi. Il primo provvedimento di Elisabetta (1533-1603 –70 anni -, figlia di Enrico VIII e di Anna Bolena, salita al trono nel 1559), a favore del teatro, è quello di limitare l’effetto dell’editto del padre, stabilendo che fosse sufficiente, per un attore, per sottrarsi alle persecuzioni, porsi sotto la protezione di un nobile di cui doveva indossare la livrea; poteva in questo modo garantirsi la libertà di esercitare la sua professione. Una compagnia che non avesse avuto un potente sponsor alle spalle poteva andare incontro a serie difficoltà e vedersi cancellati gli spettacoli da un giorno all’altro.
Con tali premesse sorse nel 1576 il primo teatro pubblico stabile d’Inghilterra, che si chiamò “The Theatre”.
Nel 1598 il Theatre fu demolito e in sua sostituzione (addirittura usando lo stesso legno) si costruì il Globe, gestito in società dal più grande attore inglese dell’epoca, e Shakespeare stesso. La compagnia del Globe era la più famosa d’Inghilterra, Elisabetta infatti predilesse Shakespeare a tal punto da chiamarla spesso per le feste di corte.
Nel 1603, il nuovo Re Giacomo I (successore di Elisabetta) concesse alla compagnia del Globe il titolo di King’s Men e l’autorizzazione a recitare in qualunque città del Regno. Ormai S. era diventato ricco e il suo teatro famoso in tutta l’Inghilterra.
VARIE
*Gli Edifici Teatrali – Le Playhouses
Si trattava di arene a cielo aperto, simili in piccolo alle plazas de toros spagnole, con una platea dove gli spettatori stavano in piedi, e gradinate ovvero ordini di palchi coperti tutt’intorno.
Contro una parete, senza interrompere la continuità dei palchi, era rizzata una piattaforma molto ampia (mezzo campo da tennis), alla quale gli attori accedevano solo dal fondo, proprio come quando recitavano nei saloni, con le spalle contro lo screen; anche in questo caso avevano in alto, dietro la testa, una galleria praticabile, che di regola ospitava i musici (la musica, simbolo di armonia celestiale, doveva provenire dall’etere), ma dalla quale si potevano affacciare anche personaggi.
Rispetto ai saloni, dove i comici continuarono a esibirsi occasionalmente, portandovi lo stesso repertorio delle playhouses, la principale differenza era data dalla presenza di un tetto che protendendosi sulla piattaforma, la copriva per una parte, e che era sorretto da due colonne.
Il sotto di questo tetto era dipinto di azzurro con stelle d’oro, ed era chiamato “heavens”, “cielo” (invece la zona sotto il palcoscenico, raggiungibile mediante una botola, era lo “hell”, l’ “inferno”); e questo “cielo” poteva aprirsi, e far scendere con una carrucola un attrezzo di scena come il trono regale, che simbolicamente occupava sempre il centro della piattaforma, o magari un essere soprannaturale, richiamante il “deus ex machina” del dramma latino.
Altri attrezzi di scena come sedili, letti, alberi, tende, tavole imbandite, venivano portati o fatti scivolare su rotelle da inservienti o da attori, attraverso l’apertura centrale sul muro di fondo, e recuperati quando non servivano più; ma per il resto non esistevano scene dipinte o costruite, e il fondale rimaneva sempre identico, ossia neutro, come quello decorato in modo vagamente classico dei tipici screens nei saloni.
Non esisteva ovviamente sipario; una tenda poteva coprire la grande porta di fondo, magari a mo’ di arazzo, e lo spazio dietro questa porta di fondo era sufficientemente ampio da poter fungere, all’occorrenza, da locale chiuso all’inizio di un’azione che comunque proseguiva fuori, sulla piatta forma.
Oggi noi siamo abituati a palcoscenici dove il segnale che un episodio è concluso viene dato dal buio totale, ovvero dalla chiusura del sipario. Entrambi questi espedienti erano sconosciuti agli elisabettiani, che nelle playhouses recitavano alla luce del giorno; donde la necessità di far terminare ogni scena con l’uscita di tutti i personaggi.
Le storie raccontate ignoravano le unità aristoteliche predicate dagli umanisti sul Continente, e il pubblico aveva quindi bisogno di essere continuamente informato sul dove l’azione si fingeva: il che avveniva con disinvoltura, grazie alla disponibilità della scena neutra a “diventare” continuamente qualsiasi luogo mediante le indicazioni date da un dato oggetto o da cenni contenuti nel dialogo.
ABITUDINI A TEATRO
Il biglietto di entrata costava un penny. In ogni rappresentazione c’erano almeno tremila persone, ma il pubblico di allora era molto diverso da quello di oggi. Infatti, all’epoca, se un attore recitava male il pubblico gli buttava frutta o verdura. Le persone potevano entrare e uscire dal teatro quando volevano, anche durante le rappresentazioni. All’interno del teatro si poteva comprare da mangiare e da bere. Tutti gli attori erano maschi e se c’era una parte da donna, doveva rappresentarla l’uomo, perché le donne non potevano recitare.
Lo spettacolo doveva combinare elementi eterogenei: divertimenti popolari come danze, canto, e soprattutto i lazzi del clown, che tanta parte avevano avuto nel teatro medievale, passi sentenziosi e moraleggianti per la borghesia, ornamenti mitologici e classici per le classi alte.
I primi teatri furono edificati a nord della città, nei Fields; durante l’ultimo decennio del Cinquecento, il quartiere dei teatri si spostò sulla riva destra del Tamigi (Bankside) ove apparvero, successivamente, The Rose, The Swan, e The Globe.
IL MERCANTE DI VENEZIA
Questa commedia di Shakespeare, scritta e rappresentata intorno al l600, e ambientata a Venezia, presenta alcune caratteristiche che vale la pena sottolineare.
Viene definita innanzitutto un’opera occasionale, scritta cioè dall’autore per un’occasione, in questo caso per l’esigenza della corona inglese di definire la questione degli ebrei e delle loro attività nel territorio anglosassone. In realtà la situazione in Inghilterra all’epoca era molto meno tragica di quanto fosse a Venezia o in altri stati. Di fatto in Inghilterra gli ebrei non subivano particolari restrizioni ed erano mediamente tollerati all’interno della società. L’usura da loro praticata era considerata un male necessario.
In Italia, a Venezia, invece, nasce la prima “forma detentiva” destinata esclusivamente agli ebrei: viene creato il ghetto (parola che poi è stata ripresa ed è diventata tristemente nota). Il ghetto è un quartiere di Venezia (tutt’ora esistente) in cui abitavano gli ebrei e per il quale vigevano delle restrizioni ben precise, regolamentate dalla legge veneziana. Possiamo sicuramente dire che i veneziani sono i veri inventori di regolamenti e prescrizioni studiati per distinguere e poter riconoscere gli ebrei all’interno della comunità. Gli ebrei dovevano infatti portare sempre un cappello rosso (ed essere così sempre riconoscibili). Gli ebrei potevano prestare denaro e ricavarne così dei guadagni, contrariamente ai cristiani cui era impedita questa pratica. Inoltre, gli ebrei avevano l’obbligo di rientrare nelle loro abitazioni al calar della sera; il loro quartiere era infatti circondato da mura che durante la notte venivano chiuse a chiave e sorvegliate da soldati, in modo che nessuno potesse entrarvi o uscirne.
Nell’opera di Shakespeare c’è un mercante cristiano di nome Antonio che consiglia al suo amico Bassanio di rivolgersi a Shylock, il ricco ebreo che presta i soldi per interessi, ovvero chiedendone un po’ in più alla loro restituzione, per farsi fare un prestito, poiché lui al momento non ha contanti da dargli. Era una pratica molto comune chiedere denaro in prestito e spesso essere legati per necessità o per forza, a coloro che l’hanno prestato. Per questo la figura dell’usuraio non è amata in generale, anche se, come vedremo, Shylock si difende con valide argomentazioni.
VARIE
*Gli Edifici Teatrali – Le Playhouses
Si trattava di arene a cielo aperto, simili in piccolo alle plazas de toros spagnole, con una platea dove gli spettatori stavano in piedi, e gradinate ovvero ordini di palchi coperti tutt’intorno.
Contro una parete, senza interrompere la continuità dei palchi, era rizzata una piattaforma molto ampia (mezzo campo da tennis), alla quale gli attori accedevano solo dal fondo, proprio come quando recitavano nei saloni, con le spalle contro lo screen; anche in questo caso avevano in alto, dietro la testa, una galleria praticabile, che di regola ospitava i musici (la musica, simbolo di armonia celestiale, doveva provenire dall’etere), ma dalla quale si potevano affacciare anche personaggi.
Rispetto ai saloni, dove i comici continuarono a esibirsi occasionalmente, portandovi lo stesso repertorio delle playhouses, la principale differenza era data dalla presenza di un tetto che protendendosi sulla piattaforma, la copriva per una parte, e che era sorretto da due colonne.
Il sotto di questo tetto era dipinto di azzurro con stelle d’oro, ed era chiamato “heavens”, “cielo” (invece la zona sotto il palcoscenico, raggiungibile mediante una botola, era lo “hell”, l’ “inferno”); e questo “cielo” poteva aprirsi, e far scendere con una carrucola un attrezzo di scena come il trono regale, che simbolicamente occupava sempre il centro della piattaforma, o magari un essere soprannaturale, richiamante il “deus ex machina” del dramma latino.
Altri attrezzi di scena come sedili, letti, alberi, tende, tavole imbandite, venivano portati o fatti scivolare su rotelle da inservienti o da attori, attraverso l’apertura centrale sul muro di fondo, e recuperati quando non servivano più; ma per il resto non esistevano scene dipinte o costruite, e il fondale rimaneva sempre identico, ossia neutro, come quello decorato in modo vagamente classico dei tipici screens nei saloni.
Non esisteva ovviamente sipario; una tenda poteva coprire la grande porta di fondo, magari a mo’ di arazzo, e lo spazio dietro questa porta di fondo era sufficientemente ampio da poter fungere, all’occorrenza, da locale chiuso all’inizio di un’azione che comunque proseguiva fuori, sulla piatta forma.
Oggi noi siamo abituati a palcoscenici dove il segnale che un episodio è concluso viene dato dal buio totale, ovvero dalla chiusura del sipario. Entrambi questi espedienti erano sconosciuti agli elisabettiani, che nelle playhouses recitavano alla luce del giorno; donde la necessità di far terminare ogni scena con l’uscita di tutti i personaggi.
Le storie raccontate ignoravano le unità aristoteliche predicate dagli umanisti sul Continente, e il pubblico aveva quindi bisogno di essere continuamente informato sul dove l’azione si fingeva: il che avveniva con disinvoltura, grazie alla disponibilità della scena neutra a “diventare” continuamente qualsiasi luogo mediante le indicazioni date da un dato oggetto o da cenni contenuti nel dialogo.
ABITUDINI A TEATRO
Il biglietto di entrata costava one penny. In ogni rappresentazione c’erano almeno tremila persone, ma il pubblico di allora era molto diverso da quello di oggi. Infatti, all’epoca, se un attore recitava male il pubblico gli buttava frutta o verdura. Le persone potevano entrare e uscire dal teatro quando volevano, anche durante le rappresentazioni. All’interno del teatro si poteva comprare da mangiare e da bere. Tutti gli attori erano maschi e se c’era una parte da donna, doveva rappresentarla l’uomo, perché le donne non potevano recitare.
Lo spettacolo doveva combinare elementi eterogenei: divertimenti popolari come danze, canto, e soprattutto i lazzi del clown, che tanta parte avevano avuto nel teatro medievale, passi sentenziosi e moraleggianti per la borghesia, ornamenti mitologici e classici per le classi alte.
I primi teatri furono edificati a nord della città, nei Fields; durante l’ultimo decennio del Cinquecento, il quartiere dei teatri si spostò sulla riva destra del Tamigi (Bankside) ove apparvero, successivamente, The Rose, The Swan, e The Globe.